Per un attimo immenso
ho dimenticato il mio nome
di Roberto Cotroneo
Anche quella
era una storia di specchi e di legami, e di riflessi.
Gli scacchi sono
una specie di romanzo dove una persona può far credere
di essere qualcosa d'altro.
Roberto Cotroneo
"Per un attimo immenso ho dimenticato
il mio nome. Scendevo i gradini a uno a uno, i gradini
delle scale
, sapendo bene che non avevo parole
da dire a nessuno, e che non avevo nessun posto dove
andare, nessun luogo da cui ripartire.
Questo attimo singolare, questa discesa
melanconica, è riempito dal narratore Luis –
anche se lui fa finta di non avere niente da dire –
con un intero libro, con una vita frammentariamente
raccontata. Inizia e finisce a Tempestad, "un paese
che nessuna carta geografica riporta, il paese
dellinfanzia, dove si pongono le domande e dove
si ricevono le risposte. A Tempestad "tutta la
città giocava a scacchi. E lo faceva per le strade.
Ma a Tempestad nessuno vinceva e nessuno perdeva.
Luis deve lasciare presto questo luogo,
entra nella vita ordinaria, diventa violinista con un
talento insospettato. Sarà scoperto dalla misteriosa
Chiara e farà parte di un quartetto che vuole
mettere in scena la "Grande Fuga di Beethoven.
Si uniscono quattro strani caratteri, e ognuno si specchia
nellaltro, però ognuno rimane isolato nel
suo mondo privato. Riescono solo una volta a suonare
il brano; dopo il gruppo si divide. Luis fugge –
la sua grande fuga – sulla nave da crociera "Scirocco".
Lì trova Byrne, però anche Byrne è
un reietto, un emarginato, uno che non può superare
la più grande sconfitta della sua vita, la sconfitta
contro Bobby Fischer.
Byrne – Fischer, New York
1956. con 17
Ae6 Fischer ha sacrificato la donna
(18. Axb6) a favore di un attacco
"Bobby Fischer aveva soltanto
tredici anni quando vinse contro di lui. In una partita
fuori luogo, come Byrne ripeteva sempre. Fuori luogo
perché Bobby giocò in un modo imprevedibile:
nessuna regola avrebbe giustificato il sacrificio
della Regina. Donald disse di aver smesso di giocare
da quel giorno (28)
Anni dopo Byrne si ritira sulla nave,
senza lasciarla mai, per giocare e rigiocare questa
sua partita fatale oppure per giocare e perdere, al
calcolatore, contro un avversario anonimo le cui misteriose
lettere iniziali sono proprio "BF. Si pone
senza interruzione la stessa domanda:
"Si può vincere sacrificando
un pezzo come la Regina?"
Il maestro invecchiato invece riesce
a formulare strani pensieri e Luis lo trova di fronte
ad uno specchio, che gioca a scacchi contro se stesso.
"Lo specchio capovolge il gioco.
Come questa nave capovolge il mondo (83).
"Bene, se tu osservi una partita
di scacchi allo specchio, capisci il profondo significato
di questo gioco. Tutto è invertito. Ed è
come vedere il mondo attraverso una logica capovolta.
No, lo specchio è un modo di dialogare con
i pezzi. Anche loro lo sanno. Anche loro si specchiano
(89).
"Byrne, gli dissi
stupito, ma lei gioca contro se stesso.
Questa volta si voltò: No, gioco contro
un ombra. Ma tu, Luis non sei un buon osservatore.
Perché?, chiesi.
Guarda bene, ti sembra la stessa partita? Il
Cavallo in c3 là sullo specchio diventa un
Cavallo in f6, capisci cosa vuol dire?
È capovolto.
Si, aggiunse Byrne. Solo che gli
scacchi sono un gioco fatto di simmetrie. Le Torri,
i Cavalli e gli Alfieri hanno delle posizioni simmetriche.
Solo la Regina e il Re spezzano la simmetria. Ora
quel Cavallo che tu vedi sullo specchio non è
lo stesso Cavallo capovolto dal riflesso, è
laltro Cavallo. Se dovessi dirtelo con un linguaggio
degli scacchi: quello è il Cavallo in f, non
in c, capisci? Neppure la mano è la stessa.
Quella che si muove sullo specchio è la sinistra,
mentre i pezzi io li sposto con la destra.
Cosa significava? Significava, prima di tutto, che
Byrne giocava un se stesso capovolto:E che gli
specchi, con gli scacchi, non si comportano come con
tutti gli altri oggetti. Gli danno un valore. Non
è lo stesso pezzo, Luis, è un altro
pezzo.
I pezzi prendono un altro significato,
e cambiano di identità. Mentre in tutti gli
altri casi gli specchi riescono a cambiare soltanto
posizione agli oggetti (90).
Byrne - Fischer:
Il nero matta in sette mosse
Il creatore di questi pensieri è
un certo Milo Temesvar nel suo libro "Sulluso
degli specchi nel gioco degli scacchi".
Dopo Luis viene a sapere che Byrne una
volta era andato alla ricerca di Temesvar e lo avevo
perfino trovato. Indovinate dove? A Tempestad naturalmente.
E chi era? Il padre di Luis naturalmente! E chi era
lavversario senza nome al computer? Bobby Fischer
oppure Temesvar? Finalmente Byrne riesce a pattare una
partita, una sola:
"Disse solo: Un pareggio,
lequilibrio di un pareggio
Una partita
perfetta" (233).
Poi abbandona la nave ed anche gli scacchi.
Per Luis invece il viaggio diventa unemigrazione
nel suo passato dove trova, fra gli altri, i ricordi
di suo padre e sua madre e la sua interiorità.
La ritirata diventa fuga, la grande fuga nella zona
impenetrabile della sua anima e del suo ego. Il misterioso
passato si chiama Tempestad, dove tutti giocavano a
scacchi.
"Solo che a Tempestad le partite
non si vincevano e non si perdevano: si pattavano.
Perché la partita perfetta, quella che non
ha errori da nessuna parte si patta (159).
"
che la rovina di Tempestad
sarebbe cominciata quandi i giocatori avrebbero smesso
di pattare le partite a scacchi, quando sarebbe iniziato
un cammino che li avrebbe portati a vincere uno con
laltro, a commettere degli errori (168f.).
"E invece era una forma di meditazione.
I giocatori sapevano che larte più grande
era quella di giocare in armonia uno con laltro,
senza strappi, mosse ambiziose che portassero a infiacchire
lavversario.
Lordine della scacchiera
li salvava ogni giorno da quel paesaggio che non aveva
nulla di fermo, di stabile, ma soprattutto che non
aveva regole su cui poggiarsi. Fu proprio una liberazione:
le regole degli scacchi erano una costituzione vera
e propria, in un luogo che aveva poche leggi, mal
lette, mal scritte
(171f.).
Anche a Tempestad il progresso non si
ferma. Luis, infatti, troverà solo rovine: qualcuno
aveva cominciato a giocare per vincere anche lì.
Alla fine lui capisce che perfino le
cabine della nave sono disposte come una scacchiera;
manca solo la casella d1, quella della regina bianca.
Per trovarla deve andare fino in fondo a sè stesso,
scendere nelle stive della nave per poter risalire al
suo centro, dove trova Maria, la regina, e dove lui
sente la frase decisiva:
"Come questa vita non è
altro che una partita di scacchi che nessuno può
vincere (298).
I lettori devono superare ben trecento
pagine, per arrivare alla saggezza banale, che la vita
è una partita a scacchi, che nessuno può
vincere: trecento pagine senza avvenimenti però
piene di allusioni, piene di cenni enigmatici ed oscuri,
piene di pensieri rimuginati.
Cotroneo, rappresentante della nuova
letterature italiana, ovviamente, ha provato a scrivere
un libro profondo. Come parecchi della sua generazione
non riesce a liberarsi dal suo sapere. Hanno letto troppo,
questi autori, troppo Nietzsche e Schopenhauer e Kierkegaard,
troppo "pessimismo, troppo Sartre e Camus
e Heidegger, troppo "esistenzialismo, soprattutto
troppo Freud e Jung e Lacan (e Reuben Fine), troppa
psicoanalisi ed anche troppo Kafka e Beckett e Joyce.
E non sono riusciti a superarlo e ad andare oltre. Per
raggiungere la profondità psicologica di un Hamsun,
Svevo o Kafka non è richiesta tanta conoscenza,
ma tanta saggezza. La saggezza però non si può
imparare.
Tutto in questo libro è troppo:
cè troppo di senso, di significato, di
simboli e problemi, troppa "gente perduta,
troppi che "fissano il vuoto, troppe fughe
e "sguardi che non riescono a tenere nascosto il
dolore, troppi "sogni antichi, troppi
gradini che scendono, troppi specchi e riflessi
Profondità in questo libro significa
pesantezza e lunghezza, in altre parole noia. Lintellettualismo
affettato riesce qui a seppellire tante idee e pensieri
validi, anche riguardo agli scacchi e alla musica. Fa
parte di quei libri "androgini che non si
sa mai se sono riusciti o falliti, perché per
valutarli non può esistere un criterio obiettivo.
Questo viene sostituito dal gradimento personale. Un
lettore potrebbe essere commosso fino al pianto, perché
il libro ha toccato i suoi più intimissimi sentimenti,
un altro invece potrebbe aspettare – irritato e
sbadigliando, ma certamente invano – che alla fine
succeda qualcosa.
Personalmente ho capito il significato
dellaforisma di Nietzsche:
"I poeti non hanno il pudore delle proprie
esperienze: le sfruttano. |
(Al di là del bene e del male. IV, 161)
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Cotroneo, Roberto: Per un attimo
immenso ho dimenticato il mio nome. Milano 2002. Mondatori.
322 pagine. € 16.40 http://www.robertocotroneo.com/
--- Jörg Seidel, 09.04.2003 --
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